1800 |
In un mondo prevalentemente rurale e contadino, la tutela verso chi non poteva più sopportare l’attività lavorativa, e quindi sostenersi, era demandata alla famiglia tramite un patto intergenerazionale, e dove questa incontrava difficoltà era facile, all’interno di piccole comunità, attivare dei meccanismi solidali. Nella seconda metà dell’ottocento incominciò in Europa un grande sviluppo industriale, effetto delle invenzioni scientifiche (macchina a vapore di Watt nel 1776; pila di Volta nel 1800.; motore a scoppio di Barsanti e Matteucci nel 1860.; motore elettrico di Pacinotti nel 1861, ecc.) e dei progressi nelle comunicazioni (battello a vapore di Fulton nel 1807; locomotiva a vapore di Stephenson nel 1814; telegrafo Morse nel 1835;telefono di Meucci nel 1855, ecc.). Questo sviluppo, che andava a sostituire alla bottega dell’artigiano (in cui datore di lavoro e lavoratore coincidono) l’organizzazione della fabbrica (in cui datore di lavoro e lavoratori sono separati),pose il lavoratore, costretto a vendere l’opera sua, in una condizione di inferiorità rispetto al datore di lavoro, tanto più che, per il principio della libertà di lavoro sancito dalla rivoluzione francese, gli era severamente vietata ogni forma di associazione. Ciò portò, allo sfruttamento operaio (giornate di lavoro di 14 e 16 ore; lavoro delle donne e dei fanciulli; salari infimi, ecc. ecc.), suscitando l’odio contro gli industriali e le classi ricche. Nasceva una crescente necessità di prevedere (da qui il termine “previdenza”) una tutela per i lavoratori. |
1889 |
Il primo sistema previdenziale gestito pubblicamente fu introdotto dal geniale Cancelliere Tedesco Otto Von Bismark nel 1889, tramite delle leggi sul mondo del lavoro, garantì la pensione ai lavoratori dipendenti e stabiliva anche l’età per usufruire di questo diritto. Nel 1891, quando il socialismo moltiplicava i suoi proseliti nella classe operaia, un grande papa, Leone XIII, pubblicò la nota enciclica Rerum novarum, in cui, partendo da un altissimo punto di vista cristiano, confutò il principio socialista della lotta di classe, e ricordò ai datori di lavoro e agli operai i loro doveri cristiani. L’enciclica diede origine a un movimento sociale cristiano, che, sotto vari nomi si diffuse in molti paesi d’Europa. Da quel momento altri paesi industrializzati regolamentarono, sotto questo aspetto, le leggi del lavoro. |
1898 |
In Italia, con il D.M. 16/07/1898 n.350, fu costituita la “Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai” e l’adesione era facoltativa integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch’esso libero degli imprenditori. Il sistema era di tipo contributivo e forniva una mera tutela contro la povertà. La contribuzione diventa obbligatoria per i dipendenti pubblici nel 1904, per i ferrovieri nel 1910. |
1919 |
Solo nel 1919, dopo la prima grande guerra, in una grave situazione economica, scioperi continui e manifestazioni di massa, l’istituto cambia nome in “Casa Nazionale per le Assicurazioni Sociali” e si estende l’obbligarietà a molte altre categorie di lavoratori. Il governo Nitti riusciva ad avviare un risanamento dei conti, ma non riusciva ad assicurare l’ordine pubblico, sicché la disastrosa situazione finisce col rendere inevitabile la svolta autoritaria e la conquista del potere da parte di Mussolini. Sotto il suo governo viene emanato nel 1924 il Regio Decreto n. 1422 che estende l’obbligatorietà dell’assicurazione a tutto il lavoro privato. |
1933 |
Nel 1933 la CNAS, in pieno regime fascista, diventerà Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale e in esso furono fissati i limiti di età per il conseguimento della pensione di vecchiaia in 60 anni per gli uomini e 55 per le donne. Negli anni seguenti vennero ampliate le attività di intervento con sostegni alla disoccupazione e gli assegni famigliari. Cinque anni dopo viene istituita la pensione di reversibilità a favore dei superstiti dell’assicurato e del pensionato. |
1948 |
1 Gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana, nell’art. 38 viene riportato: “I lavoratori hanno diritto a che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.” |
1952 |
Con la legge n.218 nel 1952 sotto il governo De Gasperi si fissano gli adeguamenti monetari delle pensioni e si introduce per la prima volta la pensione “minima” per garantire una sopravvivenza dignitosa anche per chi non raggiunge l’anzianità contributiva necessaria. Negli anni seguenti fu estesa l’obbligatorietà dell’assicurazione anche ai coltivatori diretti, artigiani e commercianti. |
1969 |
In un contesto di protesta sociale viene varata la riforma Brodolini, agli archivi come legge n. 153 del 30 aprile 1969, che attua delle significative modifiche tra cui l’attuazione del sistema di calcolo retributivo, l’istituzione della pensione sociale per gli ultra 65enni sprovvisti dei requisiti minimi, la pensione di anzianità per chi raggiunge i 35 anni di contribuzione pur non avendo l’età pensionabile; diventa automatica la perequazione delle pensioni, ovvero la rivalutazione delle pensioni in base all’indice dei prezzi al consumo. |
1975 |
Dal 1° gennaio del 1975, il governo Moro con la legge n.160 del 3 giugno dello stesso anno, la perequazione delle pensioni viene agganciata, oltre che ai prezzi, anche ai salari, diventando un onere pesantissimo sui conti pubblici, aggravato anche dalle baby pensioni concesse al settore pubblico. |
1989 |
Tra il 1989 ed 1990 venne istituito il GIAS (gestione per gli interventi assistenziali e di sostegno) per provvedere alle prestazioni di natura assistenziale, e l’equiparazione delle modalità di calcolo della pensione tra autonomi e dipendenti: applicando alla media dei redditi degli ultimi dieci anni un coefficiente di rivalutazione pari al 2% per anno di iscrizione, con un massimo di 40 anni (in modo che il tetto della pensione fosse l’80% di quella media). |
1992 |
Dalla prima alla seconda repubblica con lo scandalo di “Tangentopoli”, nel 1992, anno degli omicidi di Falcone e Borsellino, viene nominato Presidente del Consiglio Giuliano Amato, il quale dovette affrontare una profonda crisi dei conti pubblici. |
1995 |
Le modifiche fin qui attuate non bastano allo stato per invertire lo squilibrio tra contributi e prestazioni, e la tanto attesa nuova riforma arriva quando a capo del governo viene incaricato Lamberto Dini che con la legge 335/1995 entrata in vigore dal Gennaio 1996, è stato introdotto per i lavoratori più giovani sistema di tipo contributivo. Ogni lavoratore di anno in anno matura un montante dei contributi effettivamente versati ed alla decorrenza della pensione il montante sarà convertito in rendita pensionistica attraverso l’applicazione di un coefficiente di conversione attuariale che tiene conto della speranza di vita residua del pensionato, la revisione di tali coefficienti viene prevista su base decennale tramite confronto con le parti sociali. La dinamica di rivalutazione del montante, a tutela del poter d’acquisto sarà pari alla crescita del Prodotto Interno Lordo, cioè all’andamento complessivo dell’economia del paese. La legge prevede che il passaggio al sistema contributivo si applichi in modo graduale, infatti, per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano già raggiunto 18 anni di contribuzione obbligatoria, rimane in vigore il vecchio metodo retributivo di calcolo della pensione. Solo chi ha iniziato a lavorare dopo il 1 dicembre 1996 sarà completamente soggetto al nuovo sistema di calcolo delle pensioni, mentre chi ha iniziato a lavorare prima, ma senza aver raggiunto 18 anni di contributi, vedrà la propria pensione calcolata in parte col vecchio sistema, in parte col nuovo. Ha definito le nuove regole per le pensioni di anzianità (40 anni di versamenti a qualsiasi età oppure almeno 57 anni di età e 35 di contributi); cominciano a versare i contributi anche i collaboratori coordinati e continuativi e i professionisti, che fino a questo momento non avevano mai avuto una copertura previdenziale; ha creato le cosiddette finestre di uscita le quali posticipano il pensionamento di anzianità, rispetto al raggiungimento del requisito fissato dalla legge, tramite il meccanismo delle decorrenze aventi cadenza trimestrale; ha infine ridotto gli importi delle pensioni di invalidità e di reversibilità in funzione del reddito posseduto. |
1997 |
Anche questa revisione non soddisfa le esigenze di bilancio, e l’incalzare dell’Unione Europea obbliga nuovi interventi, a questo punto in mano al governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi. Prende il suo nome la riforma varata con la legge n. 449 del 27 dicembre 1997, nella quale si accelera il provvedimento, già presente nelle riforme precedenti che sarebbe dovuto andare a regime nel 2008, di una pensione di anzianità riconosciuta a 57 anni di età (con 35 anni di contributi, oppure 40 senza più vincolo dell’età); ha introdotto la sospensione temporanea dell’indicizzazione (ai prezzi) per le pensioni al di sopra dei tre milioni di lire (poi tolta con la legge bilancio del 2001); aumenta le aliquote contributive a carico degli artigiani e i commercianti; parifica delle pensioni baby alle pensioni di anzianità INPS. |
2004 |
Ancora una volta le modifiche si rivelano inadeguate, l’Unione Europea indica come unica soluzione l’innalzamento dell’età pensionabile, e il governo Berlusconi, con l’allora Ministro del Lavoro e Politiche Sociali Roberto Maroni, tra il 2004 e il 2005 (L. n. 243/2004 e D.Lgs. nr. 252/05) cerca di mettere in moto delle riforme definitive. Viene introdotto lo scalone: l’età necessaria per accedere alla pensione di anzianità sale a 60 anni per tutti a partire dal 2008, diventerà 61 nel 2010 e 62 nel 2014; in alternativa sempre i 40 di contributi a prescindere dall’età; per i lavoratori legati ancora esclusivamente al sistema retributivo l’età minima di accesso è 60 per le donne e 65 per gli uomini; si provvede all’aggiornamento dei coefficienti di conversione (anche se in ritardo rispetto a Dini) che andranno in vigore dal 2010; prevede, inoltre, la riduzione da 4 a 2 delle finestre di uscita per chi matura i requisiti del pensionamento di anzianità con un conseguente differimento medio dell’erogazione del trattamento di 9 e 15 mesi rispettivamente per i lavoratori dipendenti e autonomi; si introduce un meccanismo di incentivazione (bonus) per proseguire l’attività lavorativa; si mette mano anche al trattamento di fine rapporto (Tfr), cioè la quota di indennità di anzianità (così era denominato fino all’approvazione della legge nr. 297 del 29 maggio 1982) che ogni dipendente privato matura annualmente, che con la regola del silenzio- |
2007 |
Lo scalone non convince, per mediare Prodi, ritornato al governo all’inizio della XV legislatura, promulga la legge n.247/2007 che modifica la riforma precedente attraverso un mix di scalini e quote dal 2008, con l’introduzione di nuovi coefficienti a partire dal 2010. Dal primo gennaio 2008 si potrà andare in pensione a 58 anni di età e 35 di contributi, mentre dall’anno successivo si introducono le quote, date dalla somma di età e anni lavorati: la prima è 95 (con almeno 59 anni di età), poi, dal 2011, si passa a 96 (con almeno 60 anni). A decorrere dal 1° gennaio 2013 la quota da raggiungere è 97 con un’età anagrafica minima di 61 anni ed una contribuzione minima di 35 anni. Nello stesso tempo, si conferma che al raggiungimento dei 40 anni di anzianità lavorativa si può accedere ai requisiti a prescindere dall’età anagrafica. |
2010 |
XVI Legislatura, governo di centrodestra, nuove riforme. Partendo dal decreto del 2010 intitolato “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” si sono attivate nuove modifiche strutturali all’impianto pensionistico obbligatorio, in dettaglio: l’elevazione dell’età della pensione di vecchiaia alle donne della pubblica amministrazione, che dal 2012 passa dai 61 ai 65 con scatto immediato; modifica delle finestre d’accesso alla pensione (finestre mobili) che attivano la decorrenza del trattamento 12 mesi dopo la maturazione dei requisiti per i lavoratori dipendenti, e 18 mesi per gli autonomi e i parasubordinati; Revisione automatica dell’età minima in funzione della speranza di vita rilevata dall’Istat nel triennio precedente, il primo adeguamento avverrà nel 2015 e non potrà superare i 3 mesi, il secondo nel 2019 e, poi ogni 3 anni; anche la revisione dei coefficienti di conversione in rendita, viene cadenzata ogni 3 anni e non più ogni 10 e non dovrà più ricorrere a nessun accordo politico. |
http://seriestoriche.istat.it/fileadmin/allegati/Previdenza/tavole/Tavola_5.2.xls |