IL SISTEMA ITALIANO
Dopo aver esaminato il primo pilastro, pubblico, costituito dai contributi obbligatori passiamo in esame gli altri due pilastri, ovvero il secondo caratterizzato dal risparmio collettivo destinato ai fondi pensione, ed il terzo rappresentato da piani pensionistici individuali costituiti indipendentemente dal rapporto di lavoro.
La capacità del sistema pubblico di fornire un reddito adeguato a mantenere un tenore di vita simile a quello goduto durante l’attività lavorativa viene sempre meno garantito dal sistema contributivo e dalle ultime riforme, le quali tendono ha ritrovare un equilibrio al saldo della spesa previdenziale ed assistenziale.
Un adeguato tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra la pensione pubblica attesa all’anno di pensionamento e l’ultima retribuzione percepita come lavoratore, che col sistema retributivo era garantito dal meccanismo stesso basato su di un sistema a “prestazione definita”, viene ora reso incerto in quanto il sistema contributivo si basa su di un sistema a “contribuzione definita”.
Ecco che per colmare questo vuoto (o gap), e non rischiare che un minor tenore di vita ci porti ad un impoverimento nell’età avanzata, vengono in nostro aiuto i pilastri complementari ed integrativi.
Anche se la nascita di questi pilastri risale ormai a quasi vent’anni fa (il decreto legislativo che ne ha regolamentato la nascita è il n.124 del 1993) non si avverte ancora una sua completa maturazione, sia in termini di raccolta e numero di aderenti che in termini di proposte e rendimenti.
Nel 2014, su di un bacino di circa 23 milioni di lavoratori, le iscrizioni ad una qualsiasi forma complementare sono solo 6,4 milioni (ed è verosimile che un lavoratore possa averne accesa anche più di una) comportando un flusso di contributi per circa di 12 miliardi di euro l’anno (nel 2013 è stato di circa 9 miliardi).
Il movimentato totale complessivo, a fine 2013 è stato di circa 113 miliardi euro, che rispetto al PIL italiano ha un rapporto di circa il 5%, troppo poco per aver peso nelle dinamiche dei mercati finanziari.
Va considerato il balzo in avanti avuto nel 2007 col conferimento del TFR.
Nel Regno Unito ed in Olanda il rapporto col PIL è addirittura rispettivamente del 105% e del 155%, muovendo capitali superiori ai 2.000 il primo, e ai 1.000 miliardi di euro il secondo, potendo così permettersi di condizionare mercati e borse a vantaggio dei propri aderenti.
Sono più avanti anche in Spagna, dove hanno già raccolto un patrimonio superiore ai 125 miliardi di euro, pari al 8% del loro PIL. Una giustificazione la si può trovare nella aliquota contributiva obbligatoria, che negli altri stati è più bassa della nostra.
Il numero proposte presenti sul mercato si può considerare già adeguato, in quanto si contano ad oggi 38 fondi negoziali, 67 fondi aperti, 363 fondi preesistenti e 76 piani individuali pensionistici; quello che manca è una più marcata differenziazione tra di essi, sia in termini di allocazione del portafoglio (in Italia investono molto sugli immobili e sulle riserve matematiche, e meno rispetto all’estero sui portafogli obbligazionari) che di tipologie di fondi, quasi totalmente di tipo a contribuzione definita.
Si potrebbe studiare qualche piano a prestazione definita, ovviamente collegata al salario, dove il rischio finanziario rimarrebbe a carico del fondo, lasciando al contribuente la finalità di poter corrispondere una rendita determinata o determinabile.
Per ora accontentiamoci di quei pochi fondi esistenti di tipo misto, dove sia la contribuzione che la prestazione finale comprendono una parte fissa ed una variabile (un esempio sono i fondi che garantiscono un rendimento minimo).
Un altro aspetto, che però chiama in causa il legislatore, è la tassazione, che da noi riguarda sia la fase della gestione del fondo ovvero degli interessi man mano maturati, che l’erogazione finale del trattamento pensionistico, mentre generalmente all’estero si tassa solo l’erogazione finale.
A sorvegliare a tutto ciò troviamo la Covip, un istituto voluto dall’autorità pubblica volta a regolamentare e monitorare l’intero comparto al fine di tutelare i diritti degli individui in cui risparmi vengono in esso investiti.